La lenticchia di Mormanno è un’eccellenza agricola del Pollino di recente riscoperta (il suo recupero ha quasi dell’avventuroso), ma dalle grandi e straordinarie potenzialità sia dal punto di vista economico sia da quello organolettico – nutrizionale.
Da poco meno di un decennio, intorno alla leguminosa coltivata fino agli anni sessanta a livello familiare nel territorio del comune della provincia di Cosenza e poi condannata ad un oblio che ne stava mettendo a repentaglio il ricordo, cresce l’interesse di produttori e buongustai in Calabria e fuori. Piccola di dimensioni come la più famosa “sorella” tipica di Castelluccio di Norcia, alla quale la legano diverse affinità (sette biotipi quella umbra e cinque la calabrese), la lenticchia di Mormanno si caratterizza per i suoi diversi colori, dal rosa, al verde scuro o screziato, al beige normale o screziato.
Un tempo tutte le famiglie del comune calabrese arroccato sulle montagne nell’area del Parco nazionale del Pollino, al confine con la Basilicata, ma anche quelli della vicina Morano Calabro, nella zona di Campotenese, coltivavano la leguminosa per farne buona scorta per i mesi invernali. Per produrla utilizzavano, però, terreni marginali e più ostici perché gli appezzamenti migliori venivano destinati al frumento e al fagiolo, più redditizi e meno lavorati. La pianta, infatti, è praticamente un arbusto e, come tale, va estirpato e lasciato ad essiccare al sole per poi ottenerne il prodotto. “Una delle caratteristiche principali di questa leguminosa, che è parte della nostra storia – spiega Catia Corbelli dell’Osteria del Vicolo di Mormanno che propone da anni piatti a base del prodotto – è legata alla quantità di ferro che la lenticchia di Mormanno possiede rispetto a tutti i legumi dello stesso ecotipo: 0,7 milligrammi a fronte degli 0,2 classici. Una particolarità che il nostro prodotto condivide con quello ben più famoso e celebrato di Castelluccio di Norcia”.
La rinascita della lenticchia di Mormanno, se di rinascita si può parlare, data intorno al 2007. Da allora si è ripreso a parlare di quella leguminosa tipica – ormai dimenticata dai più e cullata solo nella memoria di tanti mormannesi emigrati – della quale si stava ormai perdendo anche il ricordo. Al ritrovamento del seme, conservato da un vecchio contadino e ritrovato grazie al passaparola, si è arrivati anche sulla scorta di uno studio condotto dai tecnici dell’Arsac di Castrovillari in collaborazione con l’Istituto di genetica vegetale del Cnr di Bari. É seguita un’opera di riproduzione del seme e di distribuzione ai coltivatori locali. Dal 2010, poi, attorno al prodotto è stato creato anche un presidio Slow Food che unisce un gruppo di produttori.
“A tavola – prosegue l’ostessa Catia – la lenticchia di Mormanno regala un’altra sua peculiarità, per così dire molto moderna, la velocità di cottura che ne consente un utilizzo molto pratico e rapido”. (ANSA)